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Ricerca Fondazioni Intercultura e Telecom Italia: non c’è crisi nel percorso di internazionalizzazione delle scuole italiane

Boom degli studenti all’estero con un programma individuale: in tre anni + 55%

Indice di internazionalizzazione medio delle scuole italiane da 37 a 41 punti

Positivo l’apporto delle tecnologie a servizio dell’internazionalizzazione e dell’insegnamento

01/10/2014 - 11:00

Cresce la voglia di internazionalizzazione: nel 2014 7.300 studenti delle scuole superiori si sono recati all’estero con un programma di studio di lunga durata, con un aumento del 55% rispetto solo a 3 anni fa. 3.200 adolescenti di tutto il mondo hanno scelto l’Italia per trascorrere alcuni mesi di scuola della propria formazione didattica e culturale (+14% dal 2011). Più di due terzi degli istituti superiori italiani (68%) hanno aderito a un progetto internazionale (nel 2011 erano uno su due).  In breve, finalmente un passo in avanti sulla scala dell’indice di internazionalizzazione che misura l'apertura delle nostre scuole al confronto con l’estero, rimasto stagnante dal 2009 a 37 punti e che invece nel 2014 raggiunge quota 41

Un passo apparentemente piccolo che rappresenta invece una grande evoluzione per la nostra scuola nel cammino verso la creazione di un sistema educativo capace di rendere più "internazionali" le nuove generazioni, in modo da porle allo stesso livello degli altri paesi europei.

Questi i maggiori risultati della ricerca “Generazione Inoccupati? No grazie”, edizione 2014 dell’Osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca (www.scuoleinternazionali.org), promosso da Fondazione Intercultura e Fondazione Telecom Italia (dati elaborati da Ipsos), giunto al suo sesto anno, presentata oggi a Milano presso la sede dell’Assolombarda davanti ad una platea di addetti ai lavori della scuola e 500 studenti degli istituti superiori.

Ci sono però delle barriere che ancora ostacolano l’altro 32% di scuole superiori che non partecipano a progetti internazionali. A detta dei 431 Presidi intervistati, le due principali motivazioni sono la scarsa adesione da parte degli studenti (24%) e l’impossibilità di ottenere finanziamenti (23%). Un altro forte impedimento inoltre, sempre a detta dei Presidi, nasce da quel 49% di insegnanti che ancor oggi subirebbe la scelta della scuola di sostenere i progetti internazionali. Per fortuna c’è anche un ottimo 42% di prof che invece partecipa attivamente all’organizzazione, è favorevole e proattivo; rimane infine anche un 8% di docenti che cerca proprio di dissuadere gli studenti, in particolare dalla partecipazione ai programmi di mobilità individuale. E a proposito dell’anno scolastico all’estero, va sottolineato in ogni caso che i Presidi promuovono senza riserve questa esperienza assegnandole un voto “8” in una scala da 1 a 10.

SCUOLA E UNIVERSITA’ A CONFRONTO PER “SFORNARE” UNA GENERAZIONE DI …OCCUPATI

L'indagine dell’Osservatorio di quest'anno non si è limitata a monitorare le iniziative internazionali, ma è entrata anche nel dettaglio della relazione tra Scuola e Università per indagare quali fattori possono essere rilevanti per avviare i giovani a un percorso con maggiori probabilità di successo nell'esperienza universitaria prima e poi nello sbarco nel mondo del lavoro. Competenze trasversali, tecnologia e internazionalità sembrano essere la risposta.

Un campione di 500 tra professori delle scuole superiori e docenti universitari è stato intervistato dall’Osservatorio per comprendere il grado di preparazione dei nostri ragazzi al termine della maturità per fronteggiare il mondo accademico prima e lavorativo poi. Risultato: per i docenti universitari i nostri neodiplomati sono in realtà impreparati, la loro preparazione prende un misero 5,5 in pagella, soprattutto perché sono fortemente in difficoltà nel parlare una lingua straniera e nel problem solving. Fortunatamente esistono anche aree di soddisfazione: i nostri adolescenti sono invece promossi nella capacità di relazionarsi con altre culture probabilmente grazie anche alla crescente presenza in classe di adolescenti di nazionalità diverse, la capacità di lavorare in gruppo e soprattutto nell'utilizzo della tecnologia e degli strumenti informatici.

Tra gli effetti della tecnologia nella vita degli studenti, emerge dall’indagine una più alta predisposizione ad informarsi e ad aggiornarsi nonché a sviluppare una maggiore propensione a ragionare in termini globali. Inoltre, uno studio dell’OCSE delineava già nel 2006 un trend in atto che evidenziava come gli alunni che usavano regolarmente un computer ottenessero in generale dei risultati migliori nelle principali materie, rispetto a quelli che avevano solo un’esperienza limitata delle tecnologie informatiche: nel 2012 l’indagine realizzata per Intercultura confermava la tendenza. Allo stesso tempo gli strumenti "innovativi" stanno arrivando sempre più a disposizione di tutte le fasce di reddito secondo un processo di democratizzazione dell'innovazione che può quindi aprire maggiori opportunità per tutti. La possibilità di accesso alla tecnologia a scuola è vista tuttavia dagli studenti ancora modesta; la situazione migliora invece all’università, anche se è considerata meno tecnologica rispetto a quella dei principali Paesi Europei. Sul tema della tecnologia a servizio dell’internazionalizzazione e dell’insegnamento ha in particolare posto l’accento Marcella Logli, Segretario Generale di Fondazione Telecom Italia: “La generazione dei nativi digitali - commenta - avrà sempre più il ruolo di guida nel mondo delle nuove tecnologie, soprattutto nella scuola e nell’istruzioneCi pare particolarmente rilevante che questa indagine confermi l'intuizione che tecnologia e propensione all'internazionalizzazione vanno assieme, anche nel mondo dell'educazione: gli istituti scolastici ed universitari più aperti all’internazionalizzazione risultano infatti essere tra quelli più tecnologici. Siamo così convinti che una spinta all’uso delle nuove tecnologie, da parte degli studenti e degli insegnanti del nostro Paese, possa arrivare dagli scambi internazionali per i nostri ragazzi in luoghi dove queste iniziative fanno parte della quotidianità. L’innovazione può rendere vivo ed accrescere il grado di internazionalità, mentre un’esperienza diretta all’estero durante gli anni scolastici certamente favorisce le relazioni ed il confronto tra modelli culturali e didattici differenti”.

La ricerca ha quindi indagato le caratteristiche dello studente “brillante”, imprescindibili per affrontare un percorso di successo all’università e nel lavoro. Emerge chiaramente che deve esserci un giusto mix tra tratti caratteriali, competenze trasversali e una adeguata preparazione scolastica. Se, allo stato attuale -secondo i docenti universitari - gli studenti brillanti sono uno su quattro tra i neodiplomati, il numero potrebbe migliorare se solo le scuole investissero nelle competenze trasversali, creando un ambiente didattico che promuova la voglia di approfondire e la curiosità (29%), accompagnate da un atteggiamento di impegno e sacrificio (26%), la capacità di ragionamento e di elaborazione critica (30%), l’autonomia (23%), una buona preparazione scolastica (13%) e la conoscenza delle lingue straniere (7%).

Una scuola che vuole formare studenti brillanti non può prescindere dall'inserimento, nel percorso di formazione, di esperienze in grado di far acquisire capacità relazionali e cognitive. In quest'ottica un’esperienza internazionale sembra essere in grado di contribuire in maniera determinante all'acquisizione delle competenze fondamentali per il successo degli studenti, ad oggi ritenute deficitarie dai docenti universitari.  Un periodo di scuola e di vita all’estero viene considerata un’esperienza formativa che rende gli studenti più autonomi e maturi, utile in qualsiasi momento del percorso di studi, ma ancora molta strada va fatta per il riconoscimento effettivo sia a scuola che all’università. “Le scuole sono di fronte a una rinnovata sfida – commenta il Segretario Generale della Fondazione Intercultura Roberto Ruffino – quella di dotare gli studenti dei saperi essenziali per entrare nella vita attiva del XXI secolo: imparare a imparare, a progettare, a comunicare, a collaborare e partecipare, ad agire in modo autonomo e responsabile, a risolvere problemi, ad individuare collegamenti e relazioni, ad acquisire ed interpretare le informazioni. E le Università sono chiamate a recitare la loro parte, attivando progetti continuativi di collaborazione con le scuole, per colmare quel solco che oggi divide queste due istituzioni”.

Milano, 1 ottobre  2014

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